giovedì 26 giugno 2008


Il nucleare – la nuova ideologia
Comunismo, fascismo, democrazia cristiana o proletaria? Roba del passato. Da qualche settimana è nata l’ideologia delle ideologie: l’energia nucleare.
Tutti nella maggioranza nazionale (ma anche in quelle locali dove il centrodestra è al governo) parlano fideisticamente del nuovo ricorso dell’Italia al nucleare. Illuminati sulla via di Damasco (peccato che non lo siano stati anche in campagna elettorale! Ma, d’altronde, è accaduto anche per altri argomenti come per i fannulloni della Pubblica Amministrazione o per la distinzione tra processi pericolosi o meno o per l’esercito nelle città), subito si dà il via al programma e, con il Consiglio dei Ministri di metà giugno, sono stati messi i ferri in acqua:
· Il Governo ha il compito di individuare i siti di insediamento di centrali nucleari
· Il Governo determina le provvidenze da destinare alle comunità locali che acconsentono all’insediamento di centrali sul loro territorio
Il tutto senza oneri a carico dello Stato ma solo di chi costruirà o gestirà le centrali stesse.
Ora senza perdersi in argomenti sterili o ragionamenti non basati su dati ma solo su un’aprioristica contrarietà dettata anche dalla paura, vorrei affrontare il tema basandomi su elementi concreti per tentare di analizzare il problema sotto diverse angolazioni quali:
· Entità dell’impegno finanziario per la realizzazione del programma e benefici al bilancio energetico del paese
· Profittabilità dell’investimento nel nucleare anche per potenziali investitori.

ENTITA’ DELL’IMPEGNO FINANZIARIO E BENEFICI PER IL SISTEMA PAESE
Si parla di costruire 5/6 centrali con una potenza installata ciascuna pari a 1,8 Giga wh, cioè 1.800 Mwh, cioè 1.800.000 Kwh. Significa, in pratica una potenza pari all’energia elettrica consumata da 600.000 unità abitative che assorbano 3 kwh anno (normalmente mediamente se ne assorbono la metà per cui le unità abitative aumentano a 1.000.000/1.200.000). Quindi, le 6 centrali darebbero energia elettrica a 6/7.000.000 unità abitative.
Infatti, le 6 centrali sono destinate a produrre energia pari al 20/25% del fabbisogno nazionale di elettricità. Quindi, è previsto un ribilanciamento delle fonti di produzione di energia elettrica con una supposta migliore bolletta elettrica-paese, non certo una integrale sostituzione con una totale autonomia dagli acquisti dall’estero.
Il costo di una centrale da 1,8 Gigawhp può stimarsi pari a 3,96 mdi di € (costo al kwh di potenza 2.220 € X 1.800.000 kw = 3,96 miliardi di € (1)). Quindi, le 6 centrali richiedono un impegno finanziario di 23,760 miliardi di € (46.000 miliardi di vecchie £ire ).
Ma non finisce qui. Ai precedenti costi ne vanno sommati altri e più rilevanti che certamente si debbono sostenere ma che spesso non vengono stimati. Infatti nei progetti relativi al nucleare, sia che riguardino interventi pubblici che investimenti privati, ove si guarda la convenienza del business da intraprendere, ovvero ove si calcola il costo al kwh dell’energia prodotta, di solito non si tiene conto di altri rilevanti oneri certi nel loro accadere anche se incerti spesso nel quantum e nel quando, quali in particolare:
· smantellamento della centrale al termine della sua vita utile. L’onere può raggiungere anche 2,5 volte l’investimento iniziale (Negli USA lo smantellamento della centrale di MAINE YANKEE, costruita negli anni ’60 con un impegno di 231 miliardi di $ fu smantellata con un costo di 635 miliardi di $ pari a 2,75 volte il valore iniziale) (2). Buona parte della lievitazione del costo rispetto a quello iniziale è dovuta all’adeguamento dei prezzi per il decorrere del tempo (costruzione all’anno 1; smantellamento all’anno 30-40), ma non solo.
· Benefici da concedere alla popolazioni locali per il loro assenso alla localizzazione della centrale. Costo incerto nel quantum ma certo nel se, variabile caso per caso, ma sicuramente importante nelle dimensioni.
· Oneri per la sicurezza esterna alla centrale (terrorismo, sabotaggi, etc.).
· Compartecipazione ai costi futuri per la definizione dei siti di stoccaggio delle scorie (oggi lo stoccaggio avviene nelle centrali stesse con procedimenti provvisori e non sicuri (3))
· Variabile del prezzo dell’Uranio. Nel 2003 una Libra (0,5 kg) valeva sul mercato 10,15 $. Nell’aprile 2007 il prezzo è salito a 113 $/libra con una crescita del 1.300% (4). Inoltre, il procedimento di arricchimento, necessario per essere utile al funzionamento di una centrale (produzione della scissione e della reazione a catena), è molto complesso ed in mano a poche sofisticate imprese (oligopolio). Ancora, il processo di estrazione è molto pericoloso e sta determinando un’altissima mortalità negli addetti all’estrazione (5). Tutti questi elementi rendono insicura la regolarità dell’approvvigionamento, fatto che può determinare ulteriori e maggiori costi di gestione.

VALUTAZIONE DELLA PROFITTABILITA’ DELL’ ATTIVITA’ DI ESERCIZIO DI UNA CENTRALE E COSTO AL KW.
Si è tentato, con gli elementi a disposizione, di fare una simulazione di un piano Economico-finanziario per una centrale nucleare da 1,8 Gigawh, come quelle che si intendono realizzare, con i seguenti assunti:
Costo di costruzione: 3,960 miliardi di €

Costo di smantellamento 9,3 miliardi di € (2,35 volte il costo iniziale)

Produzione annua (95% con 5% per fermo manutenzione)
14.980.000.000 kwh
Benefici al territorio Energia annua concessa gratuitamente
15.577.000 kwh (pari al 10% energia prodotta)

Prezzo di vendita del kw 0,0964 €/kwh (rettificato del 3% annuo)
Costi per la sicurezza 200 mil €/anno
Materia prima 3% dei costi 70 mil €/anno
Costi di stoccaggio 140.000 €/anno
(costi per servizi o investimenti alla ricerca di soluzioni)
Finanziamento dei costi di costruzione 90% al tasso del 5,75%

Con tali assunti è stato sviluppato un piano di gestione trentennale, vita possibilmente utile per una centrale dal momento del completamento, con la definizione di situazioni economiche, finanziarie ed elaborazione dei flussi di cassa ottenibili. Si è ipotizzato di elaborare il piano a partire dall’ultimazione della centrale, quindi non sono stati considerati i tempi di autorizzazione e di costruzione. Ipotizzando 10 anni per realizzare la centrale, essa sarebbe pronta nel 2018, quindi il piano trentennale varrebbe per il periodo 2018-2048: stime di autorevoli scienziati dicono che oltre tale data l’uranio potrebbe essere esaurito. Quindi, i benefici dall’energia nucleare partirebbero con il 2018, avviando l’iter amministrativo oggi e senza registrare intoppi di nessun genere.
I risultati dell’elaborazione sarebbero i seguenti:
· Profittabilità (produzione di utili) – si genererebbe una situazione costante di perdite per tutti i 30 anni. Il saldo finale del Patrimonio della società (capitale di dotazione iniziale + utili e -perdite) sarebbe ampiamente negativo
· Liquidità (cassa) – vi sarebbe una produzione di cassa nulla (indebitamento bancario sul breve termine), quindi la liquidità sarebbe negativa dopo aver assolto agli oneri dello smantellamento, per i quali sono previsti e stanziati, anno per anno, fondi liquidi e quote di ammortamento in modo da attribuire ad ogni anno una parte dell’onere futuro
· Il misuratore dell’appetibilità dell’investimento in termini di generazione di liquidità, espresso mediante un tasso (IRR, tasso interno di rendimento) da comparare con i tassi vigenti sul mercato, è molto modesto (2,24%). Tale fatto indica che l’investimento non sarebbe interessante per gli investitori (e per il mercato) e avrebbe un alto tasso di rischiosità di non raggiungimento delle performances ipotizzate.
· Un costo del kwh prodotto di € 0,108 che sarebbe superiore al costo del kwh prodotto con altre fonti (nella scala dei costi sotto riportata si collocherebbe in posizione non esaltante) come si evince dalla sottoriportata scaletta:
Fonte di Produzione Costo al Kw dati 2003
Idroelettrico 0,02 €
Carbone 0,02 €
Gas 0,04 €
Biogas 0,05 €
Geotermico 0,07 €
Eolico 0,07 €
Nucleare 0,11 €
Fotovoltaico 0,17 € al netto del conto energia

Si osserva che in alcune statistiche il costo al kw del nucleare viene dato a 0,03 € ma ciò deriva dalle valutazioni che non tengono conto di tutti gli oneri del sistema nucleare (in particolare, come dicevo prima, smantellamento, benefici al territorio e sicurezza esterna) (6) (7). Inserendo anche tali rilevanti voci di costo ecco che il costo aumenta sensibilmente fino a raggiungere valori che ne fanno una delle fonti più onerose (8).

SINTESI
Da tutto quanto detto sopra si ritiene che la soluzione dei problemi energetici attraverso il nucleare presenti una serie di problematiche che vanno al di là del già noto e di cui tutti parlano come:
· Gestione delle scorie (problema irrisolto)
· Sicurezza (standard accettabili ancora da raggiungere con le centrali di nuova generazione per le quali, però, sembrano necessari ancora 20 anni di studi e ricerche)
· Tempi di costruzione ( lunghi ed incerti)

A queste rilevantissime problematiche deve aggiungersi un’altra serie di perplessità quali:
· L’inesistente profittabilità della gestione di un business di produzione di energia elettrica dal nucleare
· La delicata sostenibilità finanziaria di un programma ambizioso che prevede la costruzione di più centrali, programma difficile ed impegnativo (per un paese critico come l’Italia) che però permette solo un riequilibrio delle fonti ma non offre soluzioni definitive al problema energia
· La probabile assenza di operatori privati interessati a sviluppare il business
· La dubbia economicità del kwh nucleare rispetto a molte delle altre fonti di produzione
· L’incerta durata dell’uranio che, se coniugata con la lentezza delle procedure e della costruzione, rischia di ridurre la durata di vita utile delle centrali ad un arco temporale troppo breve perché possa dirsi conveniente il ricorso al nucleare.
· lo Stato, avendo già manifestato la volontà di non sostenere gli oneri del programma, non si pone nell’ottica di incentivare il comparto ma di fare da spettatore e regolatore senza coinvolgimenti finanziari (è il senso dei provvedimenti dell’ultimo Consiglio dei Ministri). E’ però evidente che una politica nucleare senza incentivazione (o addirittura partecipazione diretta dello Stato come in Francia) non può avviarsi, in quanto il nucleare è un business ad altissimo contenuto di investimento ed a bassa resa, comunque al di fuori della portata dell’imprenditore privato se lo Stato non partecipa alla sua gestione.

CONCLUSIONI
Quindi il nucleare è una scelta molto dubbia in quanto:
· Insicuro e pericoloso (gestione anche delle fasi precedenti: arricchimento dell’uranio e successive: stoccaggio))
· Di durata limitata nel tempo
· Con costi al kw più elevati di altre fonti
· Con scarsa profittabilità come business.

Meglio sarebbe destinare le stesse risorse allo sviluppo di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili e nella ricerca per un miglior utilizzo e resa delle fonti alternative medesime. Inoltre, una fonte di enorme produzione di energia è il risparmio nell’utilizzo pubblico e privato (si pensi all’illuminazione pubblica a led che consentirebbe risparmi significativi, pari almeno a oltre la metà dell’energia consumata con le attuali forme di illuminazione), che va incentivato e su cui vanno fatti investimenti pubblici e privati.

NOTE
(1) http://titano.sede.enea.it
(2) www.ecoage.it/energia nucleare costi
(3) Il Venerdì di repubblica, n. 1056 del 13/6/08, pg. 74, servizio di Alex Saragosa, Federico Ferrazza
(4) Liberazione 24 maggio 2008, pg. 6, articolo di Emanuele Isonio
(5) Liberazione 24 maggio 2008, pg. 7, articolo di Emanuele Isonio
(6) Grean Peace – I costi economici del nucleare. Sintesi del rapporto. Maggio 2007
(7) http://lists.peace link.it/ecologia/2008/06
(8) http://www.tazioborges.it/energia%20elettrica/EE%201.htm

lunedì 2 giugno 2008

Friulia: ma di cosa sto parlando?
Qualche elemento per una maggiore comprensione va dato.
La FRIULIA S.p.A. è la Finanziaria Regionale Friuli Venezia Giulia ed ha 40 anni di vita. Infatti, all’indomani della nascita della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, era il 1964, l’allora Presidente della Giunta Alfredo Berzanti progettò la realizzazione di una finanziaria che sostenesse la fragile economia di allora. Il Friuli era terra contadina e con una industrializzazione molto esigua e fragile; la Venezia Giulia era terra confinaria con ferite molto profonde, seppur con una struttura industriale e di servizi importante. La necessità di creare uno strumento moderno, pubblico nella proprietà ma fortemente privato nel funzionamento, per accelerare lo sviluppo economico della Regione, c’era tutta. Ed operare nella finanza d’impresa fu intuizione rivelatasi vincente.
Così, con legge del 1966, nel successivo anno 1967 nacque la Finanziaria Regionale Friuli Venezia Giulia – Friulia S.p.A. con un capitale sociale di £ 500.000.000 detenuto in larga maggioranza dalla Regione Friuli Venezia Giulia e da soci di minoranza – banche e assicurazioni tra cui le Assicurazioni Generali.
Iniziò, quindi, il cammino e alla finanziaria fu data una missione mista:
· Pubblica – consistente nel concorrere allo sviluppo dell’economia regionale in accordo con la programmazione di volta in volta emanata dall’organo politico del socio di maggioranza;
· Privata – e cioè, al pari di ogni società di capitali, raggiungere le migliori performances possibili in modo da accrescere il patrimonio di dotazione.
Quali strumenti di politica industriale furono individuate le seguenti modalità operative:
· Partecipazioni al capitale di rischio di società di capitali operanti in Regione, in posizione di minoranza (massimo al 35%) e con funzioni di assistenza ed affiancamento all’ imprenditore, mai di sostituzione a questo (Friulia non doveva, come non ha mai fatto, avere responsabilità imprenditoriali). Per un controllo dell’investimento e per svolgere meglio l’attività di affiancamento, si decise di inserire uomini Friulia negli organi sociali delle partecipate;
· Finanziamenti di medio termine alle società nelle quali sia stata acquisita una partecipazione al capitale. L’attività di Friulia non doveva sovrapporsi al sistema bancario, ma finanziare con mutuo di scopo solo i programmi aziendali che avessero trovato condivisione attraverso la deliberata partecipazione al capitale.
Altre modalità operative erano rese possibili (garanzie, consulenze) ma non costituirono mai un filone di attività molto rilevante.
Così concepita, Friulia non rischiava di ripercorrere errori già noti come quelli dell’IRI che aveva assunto ruoli imprenditoriali in settori privati non strategici, con le conseguenze che conosciamo. Ne d’altronde costituiva un semplice operatore finanziario in più sul mercato. La sua connotazione era quella di finanziare progetti d’impresa, di valutare i business-plan e di decidere se le possibilità di successo fossero superiori ai rischi di insuccesso. In tale campo coloro che operarono nella società capirono quanto fosse fondamentale acquisire una specializzazione nel conoscere l’impresa e valutarne i progetti. Infatti, il team Friulia divenne esperto nell'analisi d'impresa ed il giudizio degli uomini Friulia è sempre stato preso molto seriamente.
L’attività partì, dapprima in sordina in quanto ci volle tempo perché il mercato delle imprese capisse le potenzialità dello strumento. Le operazioni non furono molte ma permisero lentamente di perfezionare il delicato rapporto finanziaria-imprese. La Friulia, pian piano, si accreditò come importante agenzia per lo sviluppo a sostegno delle imprese. L’esempio del Friuli Venezia Giulia venne seguito da quasi tutte le Regioni d’Italia sia a Statuto speciale che a Statuto ordinario e ciascuna creò una finanziaria regionale. Di queste alcune operavano finanziariamente come Friulia, altre erano tarate sui servizi, sulle consulenze e sulla gestione di mezzi regionali. Friulia fu sempre leader del movimento delle finanziarie regionali e vista come modello cui fare riferimento.
Poi ci fu il terremoto del 1976 che sconvolse il Friuli e la Friulia fu chiamata al compito molto importante della ricostruzione industriale. E’ noto che la Regione, cui nella vicenda fu affidato un ruolo centrale sia nella gestione dei soccorsi che nella ricostruzione, diede priorità al recupero dei posti di lavoro rimettendo rapidamente in piedi le fabbriche e lo strumento Friulia fu importantissimo. Essa doveva valutare i piani di ricostruzione delle imprese, i loro business plan ed erogare le somme necessarie alla rinascita con partecipazioni al capitale ed ancor più con finanziamenti. La Regione diede le somme necessarie incrementando di molto il Patrimonio della società.
Nella drammaticità dell’evento Friulia crebbe molto e, con un’ascesa che non si fermò più fino ai nostri tempi, aumentò anno dopo anno il suo portafoglio partecipazioni. E’ in questo periodo che erroneamente si è pensato che Friulia operasse salvataggi di imprese decotte. In realtà gli inizi degli anni ’80 furono anni di forte crisi e i rischi dell’attività aumentarono. Mai, però, si è intervenuto in situazioni preliminarmente senza speranza, ma in situazioni ad alto rischio a fronte di progetti di ristrutturazione credibili, non sempre però andati a buon fine.
Agli inizi degli anni ’90 vi fu un evento epocale: l’Unione Europea, in ragione delle norme sulla concorrenza, pretese che gli interventi Friulia fossero allineati alle condizioni medie del mercato finanziario. A quel tempo una parte degli interventi avveniva a tassi agevolati perché le risorse derivavano da un Fondo di Dotazione erogato dalla Regione alla Friulia per interventi socio-economici. Dal 1991 anche detti interventi dovevano essere a tassi medi di mercato. Peraltro, va detto che la Friulia aveva una forte dotazione di capitale sufficiente per la sua attività. I nuovi investimenti venivano finanziati con la liquidità esistente mantenuta ed accresciuta dai proventi dell’attività. Infatti, il Patrimonio della Friulia era giunto a circa 350 miliardi di £, cioè 180 mil € (il socio di maggioranza Regione dal 1988 non eroga più mezzi per incrementare il Patrimonio).
La chiusura del contenzioso regione Unione Europea non costituì alcun freno alla crescita, bensì Friulia migliorò ulteriormente i propri risultati senza ridursi nel portafoglio. Tra l’altro, va detto che l’attività nel tempo ha registrato anche il fallimento di alcune iniziative che la vedevano presente, alcune anche di una certa rilevanza ed entità. Ciononostante, la Friulia non ha mai perso una lira del patrimonio datole dai soci, ma le perdite delle singole operazioni sono state nel tempo ampiamente compensate dagli utili annuali. Infatti, il Patrimonio è accompagnato da riserve da utili che hanno raggiunto e superato finanche il 30% del Patrimonio stesso.
Il successo di Friulia è misurato anche dalle statistiche dell’AIFI (Associazione Italiana del Private Equity e del Venture Capital) che colloca il Friuli Venezia Giulia, nelle statistiche 2003, al 2° posto su base nazionale dopo la Lombardia ma prima di colossi come Emilia R., Veneto, Lazio, Toscana e Piemonte, per operazioni in private equity e venture capital con riconosciuto merito per la posizione dovuto all’attività significativa di partecipazione della Friulia, con un investito di oltre 51 mil €.
Verso gli anni 2000 Friulia raggiunge un massimo di partecipazioni/anno di 150, dato rilevante in assoluto ma ancor di più eccezionale se si considera che il portafoglio viene gestito da una struttura di 34 unità di cui operativi verso le imprese meno di 15. La caratteristica di una struttura snella è una costante della Friulia i cui organici non hanno superato mai le 50 unità, anche in tempi in cui non c’era alcuna informatizzazione.
Si giunge al 2003/04 anno in cui viene concepita l’ultima trasformazione della finanziaria Friulia: La giunta Illy volle trasformarla in Holding conferendo ad essa tutte le partecipazioni in altre imprese creditizie ed in imprese di servizi che la regione possedeva. Friulia oggi detiene le seguenti società strategiche e che compongono la holding e di cui deve effettuare il coordinamento:
Friulia Lis: che opera nel leasing
Finest: finanziaria per sostenere le joint ventures di operatori regionali con imprenditori dei paesi dell’EST Europeo
Autovie Venete: concessionaria dell’autostrada Trieste-Venezia-Udine
Agemont: finanziaria e parco scientifico per l’area montana
Promotur: gestore degli impianti sciistici dei 5 poli turistici montani regionali
Interporto Alpe Adria: operatore della logistica ferroviaria
Friulia S.g.r.: fondo dedicato ad operazioni di venture capital e start up tecnologiche
Inoltre, Friulia detiene il 49% della società che gestisce l’Aereo-porto Friuli Venezia Giulia, il 47% del Mediocredito Friuli Venezia Giulia (istituto di crediti di medio/lungo termine) ed il 29% di Sviluppo Italia Friuli Venezia Giulia (incubatori di imprese a Trieste, Gorizia e Spilimbergo).
Il Patrimonio netto lievita per tali conferimenti ed oggi è di oltre 800 mil €.
Friulia, peraltro mantiene la sua attività caratteristica di finanziaria di partecipazione e finanziamenti verso le imprese del Friuli Venezia Giulia.
Per tutto ciò, attività caratteristica e coordinamento della holding, le risorse umane, seppur potenziate, non superano le 40 unità.
Inoltre, la Giunta Illy ha teso ad operare una “trasformazione” nelle modalità operative della finanziaria, da interventi a sostegno della crescita in attività di Merchant Banking. Al momento pare che tale indirizzo non sia coerente con ciò di cui il territorio ha bisogno (il tessuto economico della regione è ancora troppo fragile) e nel quale non vi sono imprese in numero sufficiente (non si possono prevedere molte operazioni mancando un tessuto di imprese con le caratteristiche volute da un vero Merchant Banking). Prova ne sia che dopo 3 anni le partecipazioni medie/anno sono scese da 150 a meno di 100 (saldo tra tante uscite non sempre per scadenza dei termini e pochi ingressi e non tutti, anzi pochi, di Merchant Banking). Anche le statistiche AIFI registrano il fenomeno ponendo nel 2007 il Friuli Venezia Giulia al 4° posto (dopo Lombardia, ma anche dopo Emilia R., Lazio) rispetto al 2° del 2003 con un investito di 25 mil €.
Inoltre, stenta ad affermarsi l’attività di coordinamento delle società strategiche che continuano a gestire ciascuna il proprio business senza creare le premesse per sinergie.
Al momento, quindi, non pare che la holding sia un ulteriore passo in avanti della crescita della Friulia che oltretutto, per realizzare il progetto, ha dovuto far acquisire ad alcuni soci bancari ed assicurativi un peso rilevante, seppur sempre di minoranza, all’interno della governance e che impone comportamenti tesi più al profitto che allo sviluppo del territorio. Si sta perdendo,quindi, la caratteristica di agenzia per lo sviluppo.
Ma pare che molto delle ultime scelte, con il rinnovo della Giunta e del suo Presidente, debba esser rimeditato, non tanto sulla creazione della Holding che di per sé possiede una certa razionalità ma di cui va perfezionato il meccanismo di coordinamento, quanto sulle linee operative della Friulia core business che deve adeguarsi alle esigenze del territorio e non progettarsi sulla base di una conoscenza erronea della composizione delle imprese del Friuli Venezia Giulia o piuttosto sulla necessità di più alti profitti promessa ai soci di minoranza (banche e assicurazioni che hanno finanziariamente investito in modo importante giungendo dal 13% al 20% della Holding con la regione all’80%) per averne l’adesione al progetto.
Vedremo quali saranno le tappe ulteriori della storia.
Alla prossima.