Trieste, 9 marzo 2009
PROGRAMMA NUCLEARE ITALIANO: Ulteriore atto. Di una farsa o di una tragica commedia?
Il 24 febbraio u.s. è stato annunciato l’accordo italo/francese tra EDF e ENEL per la costruzione di 4 centrali nucleari a tecnologia EPR di produzione della francese AREVA, con tanto di santificazione ai massimi livelli presidenziali: Sarkozy e Berlusconi.
La notizia per i contrari al nucleare è importante e nefasta. Si inizia a fare sul serio! Però resta un forte senso di bluff o di farsa o ancora della solita ed ormai usuale politica dell’annuncio cui non corrispondono fatti conseguenti. Sono tanti i problemi da risolvere che quello che è successo non pare serio.
Sono cominciati a fiorire sondaggi che, solo alcuni per la verità, dimostrano che gli italiani sono favorevoli. Ma a cosa? A quale e a quanto nucleare? Il programma è risolutivo dei nostri problemi energetici o no?
Io credo che il problema sia poco conosciuto nei suoi aspetti di fondo. Cerchiamo di chiarire un po’ di cose.
Innanzitutto va chiarito che con la tecnologia nucleare si produce solo ed esclusivamente energia elettrica. Non serve per i trasporti, per il riscaldamento domestico e per parte delle attività industriali e agricole.
L’energia elettrica è appena il 20% dell’energia consumata. Il restante 80%, è tutto derivante da fonti fossili produttive di inquinamento da CO2.
Anche la maggior parte dell’energia elettrica è prodotta con fonti fossili (circa l’84% da centrali termoelettriche a gas o a carbone, contro un 16% da fonti rinnovabili).
Il nucleare, che non produce CO2, permette una maggior produzione non inquinante, però sempre entro il 20% del totale dell’energia consumata.
L’obiettivo, quindi, del programma nucleare italiano è di migliorare il mix produttivo del 20% di energia elettrica.
Quanto possiamo migliorare?
Il totale di energia elettrica consumato in Italia in un anno ammonta a 314 Twh (314 miliardi di kwh) di cui l’85% autoprodotto (centrali idroelettriche, termoelettriche e, poco, eolico, fotovoltaico, geotermico e biomasse/biogas) ed il 15% importato.
Le 4 centrali in programma (1800 Mwh di potenza l’una) consentono di produrre ciascuna 12/13 Twh. Tutte e 4 possono produrre circa 50 Twh.
Cioè il 15,9% dell’energia elettrica consumata (giusto pari all’ammontare importato).
Cioè il 15,9% del 20% e, quindi, il 3,2% dell’energia complessiva che il paese utilizza.
Sembra un risultato di poco spessore e poco incidente. E così è. Certo, potremmo non importare più e con l’investimento che ci si accinge a fare migliorerebbe il costo della corrispondente energia importata. Tutto ciò, però, determinerebbe qualche centesimo al kwh di meno. Cioè il solito sparo alla solita mosca con il solito fucile (anzi qui addirittura un Kalasnikov).
Ma quanto costa l’investimento?
Una centrale della potenza prevista (1800 Mwh) costerebbe, secondo le stime più ottimistiche, 4,5 miliardi di € ciascuna, oltre una pari importo per lo smantellamento finale (decommissioning, attività delicata e dai tempi molto lunghi - si sottolinea, infatti, che è ancora in corso dopo 22 anni il decommissioning delle nostre 4 piccole centrale chiuse nel 1987 dopo il referendum!!!) e costi non individuati ne individuabili per la gestione delle scorie, costi al territorio per l’assenso alla localizzazione, costi di sicurezza, etc. Un per l’altro almeno 10/12 miliardi di € complessivamente ciascuna. Cioè 40/50 miliardi di € per il progetto completo.
Chi finanzia?
Chi realizzerà il progetto? Lo Stato con concorso o meno dei privati o addirittura solo i privati? L’ENEL che ruolo avrà? Sarà ulteriormente in conflitto tra la necessità di fare profitto e quella di sviluppare il comparto energetico e di dare un servizio a prezzi contenuti per la collettività? La collettività ne avrà vantaggio o questo sarà solo per i privati ed i soci dei soggetti che realizzeranno l’investimento? Ma poi, ci sarà qualcuno interessato al progetto o, come per il ponte di Messina, gli interlocutori spariranno uno dopo l’altro perché il business non c’è?
Il business c’è o no?
Come ho avuto modo di illustrare in altro post di questo blog, la gestione di una centrale nucleare, se inseriti tutti i dovuti costi di gestione e di investimento anche per lo smantellamento finale e per la gestione delle scorie, sicurezza e benefici al territorio, non da margini di profitto e non determina un costo del Kwh inferiore alle altre tecnologie, anzi il costo del Kwh si pone, nella scala dei valori di costo delle varie tecnologie produttive, tra i più costosi. Rinvio alle considerazioni già fatte.
Ritorno all’intervento pubblico in economia?
Se il business non c’è, non ci saranno privati interessati ed il nucleare dovrà esser realizzato o gestito dallo Stato, esattamente come in Francia. L’EDF è società in mano pubblica e non è stata mai privatizzata. In tutto il mondo il nucleare è in mano pubblica. Da quando ci sono state le liberalizzazioni e le privatizzazioni, non si sono più costruite centrali nucleari per il semplice motivo che il nucleare non è un business. Ma in Italia con quali risorse si pensa di affrontare l’investimento viste le condizioni difficili in cui versa la finanza pubblica?
E i francesi?
L’intervento francese così strutturato pare essere un’azione commerciale e null’altro (Sarkozy sta promuovendo per il mondo le centrali made in France costruite da Areva già da tempo; nel 2007 sono state siglate intese con Libia, Algeria e paesi del Golfo) che risponde forse ad una necessità di diversificazione del settore nucleare attraverso la costruzione e cessione “chiavi in mano” di impianti. Per recuperare i margini di guadagno necessari per compensare i risultati forse non esaltanti del nucleare. Che la Francia abbia problemi nel settore, molti lo dicono.
Inoltre, ci stanno proponendo un tipo di centrale di concezione ormai vecchia, che sta dando problemi all’unica realizzazione in corso, quella finlandese di Olkiluoto 3, che presenta ritardi nella costruzione di 2-3 anni e sforamenti di costo rilevanti.
Come si vede i problemi sono veramente tanti che un semplice accordo commerciale non pare sufficiente a superare e risolvere. Altri sono i percorsi da intraprendere, con ben maggior approfondimento e ponderazione. Infatti, anche un soggetto non sospettabile di contrarietà al nucleare ha definito un percorso molto articolato per effettuare un’eventuale scelta nucleare. La Fondazione Energy Lab di Milano (www.energylabfoundation.org), su incarico di AEM Milano e A2A di Brescia ed in collaborazione con vari istituti scientifici (Politecnico di Milano, Un. Bocconi, Un. Milano - Bicocca, Un. Studi di Milano, Un. Cattolica del Sacro Cuore, Fondazione AEM, Fondazione Edison) ha concluso un Rapporto preliminare sulle condizioni per il ritorno all’energia elettronucleare in Italia affermando che le condizioni per il ritorno del nucleare debbono essere:
· Restyling dell’attuale sistema legislativo che regoli il nucleare
· Introdurre una procedura certa per l’approvazione dei siti e delle tecnologie utilizzabili
· Definire una road map che porti all’identificazione di una soluzione finale al problema dei rifiuti nucleari
· Introduzione di mercati fisici e finanziari con segnali di prezzo di lungo periodo per definire un pay back cioè un tempo adeguato di ritorno dell’investimento
· Definizione dei massimali assicurativi in caso di responsabilità da incidente nucleare
Un percorso molto impegnativo e di non facile soluzione, si pensi al tema delle scorie ed a quello della definizione dei siti.
Io aggiungerei anche che le valutazioni di convenienza economica debbano esser demandate ad appositi team di esperti. E ciò in quanto non si può effettuare un investimento di tale portata, complessità e pericolosità senza la certezza che i benefici superano di molto i rischi connessi all’investimento.
DEPCOR